Collezione da Tiffany: “New Media Art e conservazione: consigli d’artista”
Immaginate di entrare in una stanza in forte penombra. All’improvviso sul vostro corpo, da un punto imprecisato, viene proiettata una parola che non ha alcun rapporto diretto con la vostra persona.
Per quanto voi possiate tentare di sfuggirle, essa vi resta incollata addosso come un’etichetta. L’unico modo per sbarazzarsene è cercare il contatto fisico con altre persone presenti nella stanza, affibbiando a loro la parola che ci perseguita, ricevendone in cambio una altrettanto casuale.
Non si tratta di un incubo: siete immersi nell’opera Subtitled people dell’artista messicano Rafael Lozano-Hemmer, dal 2005 parte delle collezioni della Tate Modern di Londra.
Da quando l’opera ha fatto il suo ingresso nel museo londinese, il linguaggio di programmazione e la tecnologia dai quali è costituita sono stati ampiamente superati, essendo ormai presenti sul mercato sistemi che ne migliorerebbero persino l’esecuzione.
A raccontarlo è l’artista stesso in una sorta di vademecum pubblicato nel 2015 sulla piattaforma open-source Github, rivolto a quei colleghi che producono media art ponendosi il problema della sua conservazione.
Caro Collega, per la maggior parte degli artisti che conosco la “conservazione dell’arte” è una seccatura: siamo già fin troppo occupati a far funzionare le cose così, pensiamo al nostro lavoro come a un essere “vivente” e non come a un fossile, spesso non siamo sicuri che un progetto sia terminato e snobbiamo le tecniche per documentare, organizzare o rendere conto del lavoro come qualcosa che soffoca la sperimentazione e il processo creativo
(Questa e le successive citazioni in traduzione sono riprese da Sopravvivenza programmata, volume a cura di Valentino Catricalà e Domenico Quaranta, 2020, Kappabit.)
La piccola guida d’artista si struttura in quattro parti, con istruzioni sulle scelte da fare prima, durante e dopo il processo creativo, con l’aggiunta di alcuni pratici consigli su come rapportarsi con il collezionista medio, certamente mosso da grande passione ma a volte molto digiuno di “cose tecniche”, specialmente in un campo ostico e in continuo mutamento come quello delle nuove tecnologie.
Se la tecnologia digitale rende facile la vita, non è vero che essa abbia vita facile. Tra l’obsolescenza che la fa essere già superata non appena viene immessa sul mercato, pezzi di ricambio introvabili o costosi, software non più aggiornati e file che si corrompono.
La sua applicazione nel campo dell’arte apre nuovi orizzonti per il concetto di conservazione, nei quali il dialogo tra artisti, conservatori e collezionisti è più che mai essenziale perché si possa parlare di sopravvivenza futura (in #Processo decisionale: gestire la complessità. Le scelte della conservazione abbiamo proprio parlato dell’importanza di questo dialogo).
Ancor più perché non esiste una scuola di pensiero unitaria riguardo alla conservazione della New Media Art – neanche per la conservazione in senso ampio, a dirla tutta -, né tanto meno idee giuste rispetto ad altre sbagliate. Esistono approcci diversi, giustificati dall’urgenza espressiva dell’artista.
L’approccio di Lozano-Hemmer, ad esempio, è decisamente pragmatico. Tornando all’opera Subtitled people citata in apertura a questo pezzo, egli afferma nel suo scritto di come sarebbe disposto a venire in soccorso tecnico alla Tate, trascrivendo la programmazione in un linguaggio diverso dal vetusto Delphi e sostituendo le telecamere firewire con Kinect ben più prestanti.
Come si aggiorna il sistema operativo di un computer, l’artista è per fare “aggiornamenti” anche dell’opera. Questo perché il collezionista, secondo Lozano-Hemmer, non acquista tanto i materiali o le tecniche con cui l’opera è costituita, quanto il concetto originale di essa, pagando per avere una licenza valida – utilizzando il linguaggio proprio dell’informatica – e il diritto ad averne gli aggiornamenti necessari almeno fino alla morte dell’artista.
E, infatti, Lozano-Hemmer consiglia di fornire ai collezionisti – siano essi musei o privati- manuali di istruzioni, linee guida da seguire in caso di necessità, chiavette USB con i codici sorgente del progetto, firmware e quant’altro. Ma anche di essere presenti nel momento dell’installazione, di spiegare bene i meccanismi di accensione e spegnimento, di far presente i vantaggi del controllo da remoto mettendo in rete l’opera.
Andando oltre, egli ricorda anche il vantaggio di fornire assistenza direttamente in sede di installazione o nel momento della manutenzione, se non altro perché i collezionisti sono disposti a pagare bene per servizi come questi e qualche entrata in più per il mantenimento dello studio male non fa.
Naturalmente, questa è la visione di Lozano-Hemmer, il suo modo di lavorare e le best practices che ha raccolto in anni di esperienza.
Ma, come la definizione new media art è un cappello necessariamente semplificato con cui coprire un complesso sottobosco di pratiche artistiche accomunate solo dall’utilizzo attivo delle tecnologie digitali, così le opinioni sulla conservazione sono contrastanti.
Forme d’arte che prevedono, ad esempio, l’esercizio dell’oblio e l’obsolescenza della tecnologia come sviluppo programmato dell’opera, non sanno che farsene di questo piccolo vademecum e si fermano al titolo.
Se decidi in questo senso (di non scegliere sul futuro della tua opera n.d.r), allora non pensare mai alla conservazione, nemmeno una volta e lavora con abbandono sconsiderato con la certezza che la morte della tua creazione potrebbe essere la più alta forma di bellezza e di esperienza.
Con una certa soddisfazione nel vedere come l’artista sia in linea con quanto andiamo dicendo su questa rubrica da mesi, riportiamo questa chiosa finale:
Fidati dei conservatori! Sono assolutamente fondamentali perché la tua opera possa funzionare in futuro. Hanno molta esperienza nel conservare le cose più strane che puoi immaginare. Stabilisci un dialogo con loro ed elabora un piano di migrazione, tendono a sentirsi sollevati quando l’artista ha ragionato su questi problemi.
La traduzione integrale in italiano di questo vademecum è pubblicata in Sopravvivenza programmata, raccolta di saggi a cura di Valentino Catricalà e Domenico Quaranta, alla quale si rimanda per approfondimenti.